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Parola a Riccardo Gobetti: l’Ortodonzia con miniviti e la contenzione dopo l’apparecchio.

Giu 27, 2022 | Ortodonzia

Riepilogo articolo

Dottore, iniziamo da una domanda personale: lei è diventato medico passando per l’Odontotecnica;
ci può raccontare com’è avvenuto?
Qual è, secondo lei, la più importante qualità di un buon ortodontista?
In tutti questi anni cos’è cambiato di più nella sua professione di ortodontista?
E per un paziente, cosa significa una terapia ortodontica con le mini viti?
Al termine della terapia ortodontica è la norma portare
un filo di ferro, lo “splintaggio”, per “fissare” i denti ed
impedire che tornino alle posizioni di partenza?
Lei in particolare che procedura segue per la
contenzione post terapia ortodontica?
Quindi questa parte della contenzione lei la applica
ad ogni paziente, non esiste una terapia ortodontica
che si concluda senza?

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Il dottor Riccardo Gobetti, originario di Venezia, ha iniziato il suo percorso professionale nel 1989 sulle orme del fratello, che precedentemente aveva avviato uno studio odontotecnico.

In seguito, accompagnando gli studi al lavoro, ha conseguito la laurea in Odontoiatria all’Università di Trieste (2004) e quindi la specializzazione in Ortognatodonzia a Ferrara.

Nell’intervista in tre capitoli che oggi vede la prima uscita, il Dottor Gobetti risponderà alle nostre domande riguardo all’Ortodonzia.

Dottore, iniziamo da una domanda personale: lei è diventato medico passando per l’Odontotecnica; ci può raccontare com’è avvenuto?

Rispondo con piacere; per prima cosa tenga conto che provengo da una famiglia umile, che si sarebbe dovuta precludere molte cose per il proseguimento degli studi dei loro figli dopo la scuola dell’obbligo .

Tuttavia fin da ragazzino ho sempre coltivato il desiderio di diventare un Dentista e quindi non potevo rinunciare al mio sogno; dopo il diploma di Maturità Odontotecnica e l’avvio di un laboratorio odontotecnico, appena è stato possibile mi sono iscritto all’Università cercando di far conciliare il lavoro allo studio, provvedendo così a mantenermi le spese necessarie e utili perché tutto ciò fosse possibile.

Sono stati anni di grandi sacrifici, ma il risultato alla fine è arrivato.

Qual è, secondo lei, la più importante qualità di un buon ortodontista?

Le risponderò secondo la mia esperienza; quando ero un odontotecnico, realizzare un buon manufatto ortodontico era una soddisfazione relativa, che mi rendeva orgoglioso parzialmente poiché quel ruolo non mi permetteva di vedere l’efficacia di quanto fatto a livello clinico.

Non avevo cioè la possibilità di vedere una dentatura reale, caratterizzata da dei denti mal posizionati, trasformarsi pian piano – attraverso l’Ortodonzia associata alla manualità e alle mie conoscenze – in un sorriso performante sotto il profilo estetico e funzionale. Sentivo che senza tutto questo non mi sarei mai realizzato professionalmente.

Quello che mi piace del mio lavoro è quindi la soddisfazione di vedere un contesto dentale concluso e, per rispondere alla sua domanda, per quanto mi concerne, credo che sia la ricerca di questa soddisfazione la qualità più importante di un ortodontista.

Aggiungo un’ultima cosa a cui tengo in modo particolare; per me l’Ortodonzia è sempre stato l’inizio e il fine della mia attività… si può dire una vera passione, un percorso che mi accompagna da sempre.

In tutti questi anni cos’è cambiato di più nella sua professione di ortodontista?

Certamente l’ancoraggio scheletrico tramite miniviti. Cerco di spiegarmi: prima dell’ancoraggio scheletrico tutte le forze venivano applicate ai denti e quindi, per la Terza Legge di Newton, ad ogni azione corrispondeva una reazione in un’altra parte dell’arcata.

Da un po’ di anni invece, grazie alle miniviti possiamo “scaricare” nelle ossa la forza di reazione, e non su altri denti come succedeva prima.

Grazie alle miniviti, che ormai sono la mia quotidianità, posso intervenire senza ottenere dei movimenti indesiderati da tenere sotto controllo. Le uso per svariati motivi , anche per espandere il palato; grazie a questa tecnica siamo entrati in un campo che prima era esclusivo appannaggio della chirurgia Maxillo-facciale, mentre oggi possiamo espandere un palato anche oltre i 15 anni di età, prima ovviamente che la maturità scheletrica sigilli definitivamente le ossa, seguendo le stadiazione della crescita scheletrica.

Tutto questo si traduce in percorsi terapeutici certamente meno complessi nella loro attuazione, dato che ci si può concentrare sul movimento voluto senza preoccuparsi di scompensare un altro settore dell’arcata.

E per un paziente, cosa significa una terapia ortodontica con le mini viti?

Dal punto di vista del paziente, l’ostacolo principale è la percezione da parte dei genitori che la minivite sia qualcosa di invasivo nel contesto terapeutico ortodontico del loro figlio o figlia; la prima reazione spesso è “nella bocca di mio figlio non impianterete proprio nessuna vite!”.

Tuttavia, va sottolineato che si tratta di viti in titanio che quanto a dimensioni nulla hanno a che fare con quelle di un impianto dentale e che al termine della cura vengono tolte come tutto l’apparecchio; quindi attraverso il confronto e la condivisione delle immagini radiografiche che evidenziano le zone assolutamente sicure in cui andremo ad avvitare le miniviti, circa l’80% dei genitori alla fine approva questa soluzione e ne apprezza i risvolti positivi in termini di velocità della terapia e precisione del risultato.

Al termine della terapia ortodontica è la norma portare un filo di ferro, lo “splintaggio”, per “fissare” i denti ed impedire che tornino alle posizioni di partenza?

Questo argomento riguarda una parte della mia tesi di laurea e quella di specialità, di conseguenza le rispondo molto volentieri: uno dei passaggi più delicati della terapia ortodontica è far si che i denti rimangano in posizione una volta tolto l’apparecchio. L’argomento, quindi, non è solo delicato, ma è addirittura il più importante del percorso ortodontico.

Entrando nello specifico, per fare in modo che i denti non si spostino, ci sono a disposizione diversi metodi di contenimento tra cui effettivamente lo splintaggio, che solitamente viene eseguito sui denti inferiori associato a dei dispositivi amovibili .

Lei in particolare che procedura segue per la contenzione post terapia ortodontica?

Per quanto mi riguarda questa è la parte che curo di più, anche perché nessun paziente, dopo uno o due anni di apparecchio, vuole vedere i suoi denti che ricominciano a spostarsi.

Nella pratica, una volta tolto l’apparecchio, il paziente non viene assolutamente abbandonato ma inizia un percorso di monitoraggio; inizialmente con una visita ortodontica ogni mese per il primo semestre, poi nel secondo semestre una volta ogni 3 mesi. Proseguendo, nel secondo anno l’appuntamento si fissa una volta ogni 6 mesi, e dal terzo anno in avanti una volta all’anno.

Tutto questo serve ad entrambi, a me e al paziente, per controllare che la soddisfazione per il lavoro fatto rimanga sempre elevata.

Quindi questa parte della contenzione lei la applica ad ogni paziente, non esiste una terapia ortodontica che si concluda senza?

È proprio così, la contenzione è parte integrante dell’Ortodonzia. Mi passi un’espressione forte: l’incubo più grande di un ortodontista è vedere, dopo che si è tolto un apparecchio, qualcosa che è cambiato nella bocca del paziente.

È una cosa che curo moltissimo perché non voglio che si possano verificare degli spostamenti indesiderati, anche se spesso si verificano piccoli spostamenti definiti “fisiologici”.

Quindi rimanendo alla domanda…no, non esiste terapia ortodontica senza contenzione.